lunedì 5 marzo 2012

La Categoria che fa l'America

La donna decise di abortire. Quando il feto venne estratto, peró, la bambina di cinque mesi che vi era all’interno era ancora viva. Oggi questa bambina ha scritto un libro e va in tv a raccontare del suo miracolo. Il suo nome é Gianna Jessen. É una donna con un sorriso largo, che arriva agli occhi e le fa le rughette sulle guance, quei sorrisi che mostrano tutti I denti e che, se escono finti o forzati, si nota da morire.
“Ma riesci, oggi, da adulta inamorata della vita, a perdonare tua madre?” le chiedono. Lei fa il sorriso forzato che fa vedere tutti I denti ed esita.
“Si, io la devo perdonare. Perché sono Cristiana, e il perdono é parte del cristianesimo. Io la devo perdonare, perché sono Cristiana, e devo…”
Devo. Devo. Lo ripete. Sono Cristiana. Sono Cristiana.
Di colpo, sentendola parlare, mi sono venuti in mente i primi film di Tim Burton, con quei vialetti lunghi e le case tutte uguali ai due lati della strada. Ai divani con due lampade, una a ciascun lato. Fateci caso, nei film americani ci sono spessissimo. Ho pensato alla mia coinquilina che raccontava della signora che va nel negozio di Chanel di Saks 5th Avenue e compra tre giacche uguali, per paura di rimanere senza. E allora lei ripete, ripete. Anche questa Gianna Jessen, anche se solo a parole, mette una fila di vasi tutti uguali sul davanzale della finestra. Due candelabri uguali ai due lati del tavolo. Due lampade uguali ai due lati del letto, ai due lati del divano, ai due lati della tivú. Sono scristiana. Sono Cristiana. Devo perdonare.
Le lampade uguali ai due lati della vita, questo nuovo simbolo dell’uomo moderno che non sopporta la solitudine di un elemento unico che diviene protagonista e che no nsa come affrontarlo, al quale non saprebbe dare una risposta pacata come quel ‘la devo perdonare’.
Questo reiterare, questo ripetere in ogni contesto della vita che crea un ordine solo apparente ma che non riesce a nascondere una pesantezza di fondo. L’insicurezza di non essere in grado di gestire un elemento solo, per non soffrirne la mancanza, perché appartenere a un punto con piú similitudini é come ‘schivare’ la solitudine.  La Categoria, che ce ne salva. Allora, sentendola parlare, ho pensato: nessuno é convinto della categoria a cui appartiene come un Americano. Sono Cristiana, é questo che mi da la sicurezza di perdonare mia madre.
Tutti lo facciamo, perché la Categoria é un modo come un altro di incastrarci nel puzzle sociale, per salvarsi da una solitudine che altrimenti non si saprebbe combattere. Ma, se magari a volte qualche dubbio circa l’inserirci in una di esse puó insorgere, in America la convinzione di appartenenza si sente con un forza quasi malata. I Blue Collar, I White Collar, quelli del Bronx, le nere, I messicani, le Checche, quelli che vivono nel New Jersey, I Cristiani, gli Ebrei, quelli del Lower West Side, gli hipster di Brooklyn, eccetera. Io faccio una determinata cosa, mi comporto in un determinato modo, per la maggior Gloria della categoria a cui appartengo.
Quando feci domanda all’universitá, nel form d’iscrizione mi si chiedeva se fossi d’origine ispanica.
“Ma perché vogliono sapere se ho origini ispaniche? Che gliene frega?” chiesi ingenuamente.
“Eheh, vogliono sapere se porterai una pistola in classe,” mi sentii rispondere. Lí per lí mi sembró una risposta di cattivo gusto, ma in seguito capii che il motivo era quello per davvero. É come se in Italia nello stesso form ti chiedessero se sei rumeno. Si solleverebbe un polverone. Eppure a New York é una cosa normale, non tanto per mancanza di rispetto quanto per l’effettiva forza con la quale si sente di fare di una categoria un fascio, compresa (e soprattutto) la propria.
E Gianna Jessen perdonerá sua madre. Perché é Cristiana.
Me la immagino, la madre di questa donna, che se mai un giorno vorrá chiedere perdono lo fará inginocchiandosi e accendendo un lume al Dio di cera che le colerá sulle mani mentre prega. Pregherá e pagherá le candele, e chissá se le basterá quando si ritroverá la gola e le mani impastate di un perdono elargito da Dio e non dalla figlia. Sono cert ache questa madre tenesse piú al perdono della figlia che al perdono di Dio.
E allora mi sono chiesta: Non ci puó essere una capacitá di perdono che deriva dall’animo umano proprio perché noi siamo uomini, senza doversi per forza attaccare a un’idea o a un ideale? Non esiste una capacitá di ascolto, di compassione, di umanitá che deriva da una capacitá di comprensione piú che da una bontá d’animo, e non imposta dalla categoria a cui si sente di appartenere?
La categoria si forma per facilitare I rapporti umani o perché, effettivamente, non siamo in grado di privarci di una delle due lampade? Ma non c’é un modo per l’umanitá di trovare ragioni per perdonare non perché si appartiene alla categoria dei cristiani, ma per capire cosa per sé stessi significa il perdono? Non c’é un modo per l’uomo di non essere razzista non perché sei repubblicano e quindi devi accettare tutti, ma perché é bene realizzare che siamo tutti uomini?
Ma soprattutto: Gianna Jessen, la donna che é oggi, sarebbe in grado di perdonare sua madre se non fosse Cristiana?

2 commenti:

  1. Ciao, sono una nuova follower del tuo blog! Lo trovo molto bello ed interessante! A presto!...
    http://shabbyfreak.blogspot.com

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    1. Grazie! Anche il tuo é davvero interessante, e capiti a fagiolo...mi piace un sacco lo shabby! :)

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