mercoledì 29 febbraio 2012

Un croissant che sembra un sorriso - da Chez Paul a Parigi

A Parigi, oltre Charles De Gaulle, piove e fa freddo. Ma sei a Parigi, chissenefrega se piove e fa freddo, che anche sotto la pioggia riesci a immaginarti da lontano la cittá come se camminassi con Allen nel film ‘Mezzanotte a Parigi’, nel quale si dice che solo lei é meravigliosa anche quando il tempo fa schifo e ti rendi conto che, sotto tutta quella meraviglia, il miglior souvenir da portarsi a casa é una viennoiserie che esorcizzi in un morso le varie chincaglierie a forma di tour Eiffel con una lubrica croce di burro.
Ne hai bisogno, tremendamente. Con ancora le reminescenze dell’America in testa, guardo fuori e mi immagino i miei parenti che mi saluteranno chiamandomi l’Americana, dandomi un ganascino sulla guancia e chiedendomi come ho mangiato all’estero, che I ravioli al tartufo col cavolo che li trovi fuori, e quando decanti I formaggi trovati in una trattoria Toscana a New York calano mascelle che neanche certi nostrani politici caddero cosí di gran carriera. Mi sovvengono immagini e odori di gente a tavola che discute davanti ad anatre e patate alla besciamella del fatto che tutto é inquinato e bisognerebbe mangiare poco, della casa che quando entreró saprá di bollito, del buoncostume campagnolo che compiange il grigiore della cittá pur non avendolo mai visto. Ti diranno che un giorno non ti vedranno piú. Non si sa se perché torneró all’estero o perché moriranno prima loro.
Poi guardi, immagini, Parigi, un pezzo di lei all’aeroporto, l’altro lontano, da Roissy alla Gare du Nord: Delle cose, della gente che scorre a fiumi, dei cibi, e le promenades e una bellezza adolescente, caotica e incurante di mostrarsi elegante, una bellezza alla quale si perdona persino il farci rimanere soli. E poi sovvengono le immagini di New York con I pazzi sulla metro e quelli che cantano per strada.  Questo e tutto il resto immagino, con una sorta di malinconia che stringe al cuore perché non ti permette di ignorare il fatto che, di tutto questo, tu fai parte: Di New York, del buoncostume campagnolo, dell'odore di sugo. Che é una cosa bella. un po' confusa, forse alle volte condita di rabbia, ma bella.
Ma nel torpore del mattino presto, a Parigi, l’idea migliore é prendersi un croissant, perché – pensate quel che vi pare, nemmeno in Italia li facciamo come I francesi. Mi dirigo da Paul e faccio la fila per un caffélatte e chissá cos’altro, davanti al bancone che nel bagliore di tutte quelle paste meravigliose sembra risplendere d’oro. É quasi commovente.
La commessa, una donna ben truccata e con una faccia che lasciava ad intendere che piú di ogni altra cosa avrebbe voluto essere da un’altra parte, mi chiede con aria arcigna cosa voglio. Opto per un mini croissant e un mini pain au chocolat, mentre mi sposto dall’altra commessa –sorridente, come la parte felice delle due maschere che fanno da icona al teatro – per pagare. La signora dietro di me parla con un’altra donna e non considera la commessa scocciata, che aspetta impaziente il suo ordine. Vedendo che la signora continua a non considerarla, la commessa cerca di farsi notare con un ‘bonjour, madame’. Niente. Qualche istante e la fila aumenta, mentre la signora discute col marito su cosa sia meglio prendere. La commessa le lancia un sonoro ‘Bonjour, AH?’ e la tipa ancora una volta non raccoglie. La commessa esplode. Al terzo ‘madame, BON-JOUR!’ la tipa finalmente si gira e, mentre l'altra commessa mi informa che le devo 4 euro – quasi come dire ‘bienvenue a Paris!’ perché nessun altro ti fa pagare un euro per un mini croissant – l'ignorante signora prende finalmente l’ordine per lei, l’amica, il marito, I figli e tutto.  In questo misto quasi da commedia di volontaria ignoranza e frustrazione verso la vita, mi viene da guardare la bambina bionda che la tizia si porta appresso. Incrociamo gli sguardi, e lei mi sorride. Ma un sorriso ampio, bello, onesto e ingenuo come solo quello dei bambini, e qualcosa nel grigiore di Charles de Gaulle quella mattina si illumina.
Quando mi siedo con il mio caffé, le mie paste e il mio Elle á Table, mi viene da pensare alla scenetta vista prima. Al ‘Bonjour, AH?’ della commessa frustrata. allo splendido sorriso della bambina bionda. All’ignoranza lasciva e rilassata della signora, spiaggiata lí sul bancone come un tedesco a Rimini. 
Ho pensato:
E se verso la vita ci comportassimo come quella tizia al banco? Se ci fossero cose che continuano a chiamarci arrabbiate, e alle quali noi voltiamo le spalle intenti a parlare con altre persone delle scelte che vorremmo fare e sulle quali non sappiamo deciderci? Immaginiamoci, che so, un ipotetico destino, che al contrario della commessa non ha bisogno di trattenersi e ti urla un bel ‘girati, stronzo!’ e te tranquillo sei troppo occupato a scegliere se vuoi una tarte aux pommes o un croustillant alle mandorle o un semplice cacchio di cornetto, mentre la cosa piú importante in quel momento é girarsi e andare avanti, che se no le cose davanti a te se ne vanno e quelle dietro cominciano a spingerti in massa. C'é un destino che, da dietro l’immenso counter delle scelte della vita, ti urla disperato di guardarlo in faccia, di tanto in tanto.
Ecco, la vita riassunta in una boulangerie di Parigi, alle sette del mattino.
Si pensi ció che si vuole, io continuo a pensare che, per frustrata e arcigna che quella commessa fosse, ogni sorriso le avrebbe rallegrato la giornata, anche se con solo un micromillesimo di luce, come il sorriso di quella bambina l’aveva rallegrata a me. E allora ho capito che non importa se scegliamo un croissant che non ci piace, perché c’é sempre la possibilitá di vedere quel sorriso in qualunque cosa e c’é sempre la possibilitá di essere quel sorriso per qualcun altro. Sono salita sull’aereo pensando che davanti a tutto ció che chiamava, ma a tutto tutto, avrei voluto sorridere come quella bambina, e allora il mio destino sarebbe stato felice. Anche se alle volte un po’ arrabbiato. 
Lasciamo quindi le statuette della tour Eiffel ai turisti americani e mangiamoci per strada il nostro souvenir, che a forma di croissant sembra pure un bel sorriso. Perché, per quanto ogni volta che lo dico vengo sbeffeggiata e insultata, non smetteró mai di ripeterlo:
“Come I francesi, le paste non le fa nessuno.”

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