venerdì 17 febbraio 2012

Vorrei dare risposte Zen


Fuori da un negozio dell’86esima c’era una ragazza che offriva dei ‘samples’ di una pappa d’avena con mirtilli e cannella. C’era una bambina che la mangiava con un sorriso mite, senza rispondere alla madre che le chiedeva se le piaceva. La ragazza fermó me e prima di me un signore, che osservava l’ultima coppetta con aria curiosa. Lo prenda lei, gli faccio, ma lui no no, si figuri signorina, lo prenda lei, ci mancherebbe. Sicuro? Si si, sicuro.
Lo assaggiai ed era una schifezza. Avrei voluto dirglielo, a quella ragazza, quando mi ha chiesto se mi piacesse: guarda, senza offesa alcuna, ma questa roba fa schifo. Ma quanta America c’é qui dentro? É qualcosa che ti ricorda l’infanzia, a te? Io non ho mai mangiato avena in vita mia. Per me non significa niente. A me non piace, ma a te?
Allora ci ripensavo, alla risposta che non ho saputo dare a quella ragazza – perché pur di non cadere nella trappola della rispostina ‘é interessante’ che é una risposta da pirla, ho preferito stare zitta e sorridere. Ripensavo a tutte le risposte in cui un milione di cose vorrebbero venire fuori e si ammassano tutte in gola come una mucchia di gente che cerca di passare attraverso una porta, e alla fine non passa nessuno tranne quello piú piccolo - il nano, riuscito a sgusciare via tra le gambe delle risposte grosse. Come quando in un negozio di scarpe non hanno il tuo numero e la commessa risponde ‘mi é rimasto solo il 40’. E allora? Cosa rispondi quando chiedi un 37 e ti dicono che gli é rimasto il 40? É un’affermazione che non chiede una risposta, é solo un intercalare inutile per nascondere la delusione. A quel punto immagino gente che porta il 39 e trova sempre le scarpe. Immagino gente alla quale piace il pappone d’avena e non si trova in imbarazzo nel cercare una risposta.
Ma dev’esserci un modo di rispondere pacato, un modo di rispondere elegante, che non permetta a tutta quella mucchia alla porta di uscire in’un’accozzaglia di rabbia che non risolve nulla. Una risposta zen, quasi giapponese, direi. Una risposta che esce dalla porta dell’animo come una geisha che trascina I piedini in silenzio. Qualcosa di pieno di grazia, come Hemingway parlava del morire in ‘Mezzanotte a Parigi’ di Allen. Con grazia.
Cosí, dev’esserci una risposta elegante e dignitosa da dare a un Monti che mi dice che il posto fisso é noioso e non si troverá piú. Dev’esserci anche una risposta elegante da dare a Sanremo, ai vestiti della Belen, che é bellissima ma assolutamente priva di eleganza, come un regalo costoso fatto senza cura e messo su un mobile in salotto. E allora penso a figli che faranno gli avvocati nell’ufficio del padre quando avrebbero potuto essere pregevoli letterati, dottori o falegnami, penso ai sessantenni impiegati al comune da quando ne avevano 17. Penso a un bravissimo illustratore che per un periodo fu mio insegnante e al quale bastó il diploma di maestro d’arte per insegnare. Poi penso all’eleganza che non deriva dagli spacchi nelle gonne, tipo il fascino di Siobhan O’Riordan. E, quando tutto quello che sembra voler uscire é un’ondata di bestemmie e di vaffanculo che si ammassano contro quella porta in gola, alla fine esce solo il piú piccolo e insignificante, un ‘ma vaffanculo’ timido e sfigato, quasi nerd.
Io vorrei invece trovare una risposta zen. una risposta per non incazzarmi e sputare bile. Una risposta che, soprattutto, non implichi l’andare via con un sorrisino falso.
Ripensandoci, peró, l’unica cosa da dire avrei voluto dirla al signore che guardava la coppetta con aria curiosa, ovvero: “Tranquillo. Non si é perso niente.”

EDIT: poi ti sovvengono le notizie del tipo che la Rai vuole mettere il canone a computer e iPhone. Per cose del genere di risposte eleganti da dare mi sa che non ce ne sono. O, almeno, non credo di essere a un livello di illuminazione tale da trovarne. Se qualcuno ne trova, prego mi illumini, che concludere con un vaffa mi sembra comunque poco fine.

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